Dorando Pietri ha il numero 19 sopra la maglietta bianca che indossa, un fazzoletto a coprirgli la testa. Inizia a correre, non può certo immaginare che quella maratona cambierà per sempre la sua vita e lo farà entrare nel mito. Attraversa Londra accompagnato dal sostegno dei tanti curiosi presenti lungo le strade, le gambe reggono, chissà quali pensieri gli passano per la mente. Al 39° chilometro supera il sudafricano Hefferson, è in testa, entra nello stadio per l’ultimo giro, quello della consacrazione, all’improvviso testa e gambe cedono, forse la disidratazione, Dorando è stordito, sbaglia strada, cade una volta, cade una seconda, lo stadio è tutto per lui, ma è stremato. Raggiunge il traguardo solo grazie al sostegno di un medico e di un giudice di gara. A pochi metri di distanza uno dei tanti inviati presenti scatta la fotografia che renderà Dorando Pietri e quella corsa immortali. L’americano Johnny Hayes, giunto secondo fa ricorso e la giuria non può che accoglierlo. Pietri è squalificato. Era il 24 luglio del 1908, Giochi Olimpici di Londra.

Tra i numerosi giornalisti, Arthur Conan Doyle, l’autore di Sherlock Holmes, inviato per il Daily Mail scrisse: «La grande impresa dell’italiano non potrà mai essere cancellata dagli archivi dello sport, qualunque possa essere la decisione dei giudici.» A testimonianza di quella giornata l’immagine in bianco e nero che entrerà nella storia.

Grazie a quella indimenticabile maratona e soprattutto a quella fotografia, Pietri divenne famoso in tutto il mondo, partecipò a manifestazioni, vinse molte competizioni, guadagnando tantissimo. Negli Stati Uniti fu chiamato a partecipare a diverse corse, il 25 novembre 1908 si prese la sua rivincita su Johnny Hayes, vincendo una maratona su pista, a due, organizzata al Madison Square Garden.

Tutta la vita di Dorando Pietri, maratoneta che per campare faceva il garzone in una pasticceria di Carpi, è in quella fotografia. Ci sono foto che testimoniano un’emozione, come i selfie di Totti sotto la curva, altre che documentano un gesto inaspettato, come lo scambio di borraccia tra Coppi e Bartali, ma dietro allo scatto di Dorando Pietri c’è la storia. L’epopea di un campione nato dal niente che grazie alla maratona ottiene fama, onore e fortuna nonostante la beffa finale. La leggenda emiliana che incarna il mito dell’uomo che come Filippide può correre per un giorno intero e poi cadere stremato. E la fotografia coglie l’attimo perfetto e lo immortale per sempre: l’estrema fatica, le gambe piegate, il piccolo corpo malfermo, lo sguardo perso. La vera gloria degli eroi senza tempo.