Si avvia verso la conclusione l’anno scolastico della pandemia, della DAD, dei ragazzi dimezzati come i protagonisti di un racconto di Calvino; senza aule, o in aula ma costretti nei banchi, con le mascherine, senza lezioni di strumento musicale per la secondaria di primo livello, senza gite, senza ricreazione, a ingressi diversificati, a turni pomeridiani… Sarebbe lungo l’elenco delle eccezioni e delle limitazioni che hanno caratterizzato l’anno scolastico vissuto più pericolosamente di tutta la storia repubblicana della Scuola italiana.
Per i ragazzi la mancanza più grave è stata quella dei compagni di classe e delle relazioni in generale. Niente pacca sulla spalla nei momenti di difficoltà e niente abbracci di un amico che rendono piena la soddisfazione per l’esito felice di una interrogazione o di un compito.
Ai limiti strutturali organizzativi del sistema scolastico, organici completati in ritardo rispetto all’inizio dell’anno scolastico, si sono aggiunte altre criticità: i collegamenti internet non sempre adeguati, la sostituzione dei banchi con nuovi più adatti alle misure di sicurezza ad anno iniziato.
In mezzo a difficoltà, nuove e antiche, ci piace ricordare gli sforzi e la generosità di tanti docenti che hanno permesso comunque di recuperare se non la serenità, almeno in una certa misura la normalità della routine didattica quotidiana. Insegnanti che si sono inventati e immaginati una scuola reale oltre lo schermo, che hanno cercato il dialogo in ogni modo, che si sono spesi con energia, che hanno letto insieme “Pane Nero” di Miriam Mafai e le Poesie di Ungaretti. La letteratura del Novecento srotolata, ancora e per sempre, come una mappa della coscienza civile perché la storia, anche quella dei ragazzi dell’inverno più lungo, passa da quelle pagine.
Ma come si chiude questo anno scolastico così travagliato? L’efficacia di un sistema si misura all’arrivo non solo alla partenza. Il timore è che si possa registrare un incremento dei ragazzi non ammessi agli esami di terza media e di maturità mentre anche nelle classi precedenti potrebbe crescere, rispetto al consueto, il numero di ragazzi con debiti o bocciati. In non pochi casi la decisione è maturata con l’assenso di genitori e ragazzi che sono consapevoli delle proprie difficoltà. A pagare il prezzo più alto di questo lungo anno potrebbero essere proprio i ragazzi con più difficoltà e meno supporto da parte delle famiglie. Ne dà conto il fenomeno, presente in tutte le regioni italiane, della dispersione scolastica a cui si aggiunge la folta schiera dei NEET (i giovani che non cercano un impiego, non frequentano una scuola né un corso di formazione o di aggiornamento professionale): fenomeni in crescita preoccupante ovunque. Come scriveva Don Lorenzo Milani, “Se si perdono loro (i ragazzi più difficili) la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati.” E quest’anno più che in ogni altro la scuola gioca la sua credibilità sull’invito discriminante di dare attuazione al principio di Don Lorenzo, I Care.
Allora mentre l’anno scolastico si chiude un po’ mestamente, senza le consuete feste e ritrovi, esprimiamo a tutti l’apprezzamento per avere resistito nella tempesta, per averla attraversata, e l’augurio che anche di questo anno così difficile rimanga, non i voti, ma il senso: la scuola come apertura sulla realtà.
E ancora oggi suonano valide le parole di Don Lorenzo Milani sui suoi ragazzi: “Quello che loro credevano di stare imparando da me, sono io che l’ho imparato da loro. Io ho insegnato loro soltanto a esprimersi mentre loro mi hanno insegnato a vivere.”
Adesso per tanti è tempo di prendersi una pausa ma per molti ragazzi non è finita, incombono gli esami. E allora davvero quest’anno è il caso di dirlo con più forza: sursum corda… in bocca al lupo ragazzi!