Ci sono tre uomini, un inglese, un tedesco e un cubano: quale è la spia? Il nostro agente all’Avana è un classico del racconto, e non solo del genere spy story.

Coinvolge da subito il lettore nella storia di un’amicizia tra due uomini, un inglese e un tedesco, Wormold e Hasselbacher, uniti dalla disillusione per ragioni diverse eppure in fondo simili, c’entra il sentimento, per una donna e per una patria, in fondo heimat si presta per tradurre entrambe: la casa è una donna ed è la patria. Sono quelli che oggi definiremmo due expat, che vivono in una cuba fosca e diffidente, piena di misteri e di nebbie, un amore malinconico che ha già dentro il sentimento della fine. “Per ogni uomo una città consiste in poche strade, in poche case, in poche persone. Se si eliminano queste poche cose, una città non esiste più, se non come una sofferenza nel ricordo, qualcosa di simile al dolore di una gamba amputata.”
Cosa può indurre un modesto rivenditore di aspirapolveri che vive all’Avana a trasformarsi in una spia? Patriottismo? Senso della giustizia? Bisogno di soldi? “In un momento folle, ubbidire sembra sempre la soluzione più semplice.” Il libro si sviluppa con una serie di imprevisti e arguzie, raggiri e invenzioni, una rete dove tutti precipitano perché hanno bisogno di credere al proprio gioco e dove la morte si insinua come possibilità ed occasione.
Nessuno è innocente, molti sono scaltri, tutti perdono qualcosa.
L’opera di Greene ha il ritmo di una storia di spionaggio, la malinconia di un romanzo dell’anima e il brio di un racconto giornalistico. Tra situazioni paradossali e un po’ buffe Jim impara a diffidare e capisce come “il ricordo del dolore viene perduto infliggendo sofferenza”, così “si vien burlati con crudeltà e con altrettanta crudeltà si burla”.
Vi prenderà e non lo lascerete più fino alla fine!