E’ calato il silenzio sugli anni di piombo. Non c’è più voglia di ritornare a guardare in faccia quei ragazzi, le loro illusioni, le loro storie. E’ anche difficile sottrarsi a una narrazione che rifugga in pari misura apologia e condanna. Uno dei pochi che riesce ad affrontare quegli anni con la lucidità del cronista e l’umanità dello scrittore è Mario Calabresi che con il suo ultimo “Quello che non ti dicono” ci consegna un ritratto struggente di quella generazione di ragazzi persi dietro il miraggio di un’utopia finita nella tragedia che tra inganni e disinganni ha tradito le speranze degli stessi protagonisti.
L’espediente narrativo da cui parte il racconto è l’appello di una ragazza che non ho mai conosciuto il padre. Vuole sapere chi era. E il racconto del cronista prende avvio dalle “fonti” famigliari: lettere, scritti., appunti, testimonianze. Attraverso queste tracce sfuggite all’oblio o alla voluta dimenticanza viene liberato, esce dalla polvere del tempo, il profilo di un giovane dall’intelligenza promettente, dall’animo inquieto e generoso, alla ricerca di una trasformazione impossibile, sospeso tra l’appartenenza ad ambienti sociali dai codici di comportamento inconciliabili.
Si trova a convivere con un mondo di ombre dove la giustizia diventa sommaria, l’amicizia sfuma nell’interesse, la lealtà cede al tradimento, l’egoismo veste i panni dell’ideale e le persone vengono cancellate dall’indifferenza, dal risentimento o dall’eccesso di dolore. Ci sono amici e compagni ma anche uomini troppe volte sfuggenti, equivoci e miseri. La generazione che ha perso una battaglia e quella che ha smarrito la propria umanità. Al centro c’è lui, Carlo Saronio, la cui figura di brillante studente spicca allo stesso modo in cui emerge tra i volti di una foto ingiallita dal tempo. Sullo sfondo una Milano ancora industriale, in particolare la “Stalingrado d’Italia”, Sesto San Giovanni, dove tra le ciminiere della Breda e dell’Ansaldo, s’incontrano la rabbia dei figli degli operai e il desiderio di cambiare il mondo dei figli della buona borghesia milanese, tra inesistenti servizi sociali e scuole di periferia per i figli degli immigrati. Un’Italia in preda a vorticosi cambiamenti dove la periferia degli esclusi, dei paria, smuove la coscienza della gioventù migliore ma su questi afflati, non privi di una certa ingenuità, si innesca un progetto più alto, più duro, più ambizioso: costringere, anche a costo di imbracciare le armi, il cambiamento sociale verso una direzione precisa. Nell’urgenza di questa forzatura divampa l’incendio che divorerà un’intera generazione.
“Quello che non ti dicono” non racconta il piombo di quegli anni, ma le vite che s’inerpicano su quel cammino che brucia i sogni e li trasforma in delusioni. Calabresi scava con pazienza e umana pietà lo strato di polvere che avvolge la figura di Carlo, esplorando questo mondo con una delicatezza di padre che restituisce un altro padre alla figlia che non l’ha mai conosciuto.
Una lettura che chiude l’estate e ci prepara alle fatiche del prossimo autunno.